Nel 2014 è stato rinvenuto l’unico recinto funerario di epoca romana, datato nella seconda metà del I sec. a. C., conservatosi nella sua interezza.
Il sito, parzialmente immerso nel letto del fiume Liri, è ubicato a nord del centro urbano di Sora, tra Pontrinio e Valfrancesca, precisamente alla confluenza con il torrente Lacerno, dove è una piccola spiaggetta naturale.
La storia del sito affonda le radici nei primi anni ’80 del secolo scorso, quando i lavori di arginatura del Lacerno offrirono l’occasione per il rinvenimento del primo dei quattro termini sepolcrali, immediatamente recuperato e trasportato presso il Museo della Media Valle del Liri ad opera del Centro di Studi Sorani “V. Patriarca”. La vicenda del più recente recupero iniziò, invece, nel 2010, quando, passeggiando lungo le spone del Liri alcuni membri dell’associazione “Verde Liri” rilevarono, in quello stesso punto, la presenza di altri blocchi in calcare, appena emergenti dal suolo, recanti iscrizioni a carattere funerario.
Le numerose aree funerarie dell’ager soranus sono documentate, infatti, quasi esclusivamente dal rinvenimento di numerosi termini sepulcrorum , cippi, elementi architettonici e fregi dorici.
In questo quadro il recinto funerario del Lacerno acquista maggiore importanza per il fatto di conservare l’ara e tutti i cippi, che, posti agli angoli dell’area sepulcri, ne indicavano la precisa pertinenza. Le dimensioni del recinto sono indicate dai termini sepulcri posti rispettivamente agli angoli nord ed est del lato posteriore.
Si tratta di due cippi centinati in calcare con le rispettive iscrizioni. All’interno del recinto, lo scavo ha permesso di individuare una grande fossa rettangolare, scavata nel suolo argilloso, con pareti e fondo cotte dall’esposizione al fuoco: si tratta dell’ustrinum. Si tratta del luogo predisposto per l’allestimento del rogo nel rito della cremazione indiretta: uno spazio appositamente adibito e quindi distinto dal locus sepulturae definitivo destinato ad accogliere i resti mortali. In questo caso il morto era collocato sulla pira ancora giacente sul ferculum, oppure su un letto funebre in pregiato materiale, come l’osso lavorato. Nella fossa, infatti, tra i resti del rogo funebre, sono stati individuati numerosi frammenti di osso lavorato pertinenti al rivestimento del letto funerario.
L’uso del letto funerario in avorio o in osso, già in età tardorepubblicana, per la società romana rappresentava un segno distintivo dello status sociale del defunto, oltre ad avere complessi significati escatologici nell’apparato decorativo, che attingeva in gran parte al repertorio mitico, soprattutto dal ciclo dionisiaco. Nel mondo romano si sviluppò in modo particolare la produzione di letti in osso, surrogato più facilmente disponibile dell’avorio, a partire dal II secolo a.C., con l’acme della diffusione in età tardorepubblicana e augustea con una continuità di attestazioni, ma in progressiva riduzione, nel corso del I secolo d.C. Nell’ ustrinum sono stati rinvenuti anche resti di balsamari fittili e in vetro, questi ultimi rifusi, e frammenti di lucerne, oggetti utilizzati, quindi, nella pira funebre. Le sostanze aromatiche, contenute nei balsamari, venivano usate per cospargere il corpo del defunto già al momento della sua esposizione, prima del funus e in seguito per le aspersioni rituali di essenze; poi collocati insieme al cadavere sulla portantina, con la funzione di offrire aromi, olii ed essenze profumate, nonché di coprire i cattivi odori della combustione. Le lucerne, invece, assicuravano idealmente la presenza della luce nell’oscurità ultraterrena, ed erano associate al conforto derivante dall’aspetto domestico dell’oggetto. Dopo aver effettuato l’ossilegium (l’accurata selezione dei resti combusti), i resti delle ossa venivano raccolti e riposti nelle urne: nel recinto sono stati rinvenuti due cinerari fittili, l’uno incassato nell’ara, l’altro deposto in un pozzetto scavato nel suolo argilloso, a chiusura del quale, furono deposti numerosi balsamari in vetro e in terracotta.